ed è un pezzo tratto della
battaglia di Amhonùn...
Nicola Cantalupi
“La Terra dei Draghi – L’antica stirpe”
L’esercito delle nere creature si
schierò in tutta la sua vastità,
mostrando agli occhi della città la
sua immane grandezza senza
mai dare tregua ai suoi tamburi.
Fu in quel momento che Amrong avanzò
di qualche passo,
spingendosi sino al ciglio delle
mura; lì si girò verso il suo esercito
e urlando sì forte da riuscire a
contrastare il suono nemico, si
rivolse a tutti gli uomini di
Amhonùn: “Amici… fratelli… figli
di Nùn! Questa è la nostra città,
questa è la nostra terra e nessuno
riuscirà mai a portarcela via.
L’antica stirpe in passato ha
sempre difeso con onore e coraggio
queste mura, e mai si è vista
sconfiggere; il valore di quel popolo
ha prevalso contro ogni
esercito… E cosi sarà anche stanotte…
perché noi siamo quel
glorioso popolo! Noi siamo
l’immortale stirpe di Nùn e nessun
esercito riuscirà mai a conquistare
queste mura… Amhonùn è,
e sempre sarà, inconquistabile!”
Amrong fece suonare il proprio corno
contro il nero esercito
e in breve tempo, ogni altro Rhadarem
Aron-hen si unì con veemenza
a quel canto, surclassando e
ammutolendo senza pietà
i tamburi nel Nhèt-Nimaron; quel
mistico suono di libertà si
innalzò da Amhonùn, divampando
impavido ben oltre le vette
dell’Eniel-Andarùth, oltrepassando i
confini del Nhèt-Nimaron
sino a raggiungere ciò che ancora
rimaneva dell’antica Elleniandor,
echeggiando con vigore sulle candide
spiagge a sud della
città e spingendosi sino alle acque
del golfo d’Ellenien.
Ogni orchetto, goblin e troll fu
sommerso e annichilito da
quell’antico maestoso suono e solo
dopo vari attimi dal cessare
dell’ultimo corno, i loro miseri
tamburi tornarono timidamente
a scandire la marcia oscura.
L’esercito nemico fece infine la sua
prima mossa; dai loro
immobili ranghi, decine e decine di
rozze catapulte, trascinate
a fatica dai possenti troll,
iniziarono ad avanzare verso la città.
Continuarono la loro lenta marcia,
disponendosi su tre ampie
righe, fermandosi inaspettatamente
diversi metri prima della
zona in cui era stata realizzata la
trappola di Amrong.
Non appena i troll armarono quegli
spaventosi marchingegni,
Tuberon guardò preoccupato l’amico
che, nonostante tut286
to, continuava a rimanere immobile e
impassibile, osservando
quella scena con implacabile
freddezza.
Nel medesimo istante, tutte le
catapulte furono attivate;
l’esercito di Amhonùn, pietrificato
nell’osservare quelle immense
rocce scagliate in cielo con estrema
facilità, non poté
far altro che guardare impotente
quegli implacabili proiettili
viaggiare verso di loro a gran
velocità.
La freddezza e l’esperienza di Amrong
ebbero comunque
ragione: infatti, la maggior parte di
quei giganteschi proiettili
non riuscì neppure a sfiorare la
diga-fossato; solo due o forse tre
massi erano riusciti ad arrivare sino
alle mura, colpendole tuttavia
solo alla base e senza neppure
scalfirle. L’attimo di terrore
durato per tutto il lungo arco del
volo di quelle rocce era terminato;
adesso Amhonùn vedeva avanzare
nuovamente i troll e le
loro catapulte e stavolta ogni
spostamento avveniva secondo i
piani dell’antico elfo.
La prima riga di catapulte, infatti,
si spinse sino all’altezza
della lancia conficcata da Amrong nel
terreno, spargendo così
su tutto il campo l’abbondante olio
dei solchi precedenti; adesso
l’intera zona di lancio del nemico si
trovava nel centro esatto
della trappola degli elfi.
A quel punto Amrong afferrò il suo
arco e impugnò uno
speciale dardo. Mentre i troll già
ricaricavano le loro armi, l’elfo
immerse la punta della freccia tra le
fiamme del faro accanto
a lui, dopodiché, tendendo l’arco
fino a sentirlo scricchiolare,
mirò quell’unica lontana lancia.
Rimase perfettamente immobile
e totalmente concentrato su quel tiro
per vari istanti, poi,
non appena le fiamme della freccia
raggiunsero il legno dell’arco,
Amrong lasciò partire il colpo.
Simile a una scintillante saetta
dalla fiammeggiante scia,
quell’unico e minuscolo proiettile
sfrecciò sopra il Nhèt-Nimaron
fischiando e portando con sé la
silenziosa speranza di
ogni elfo. In un unico breve attimo,
la freccia si conficcò nei
pressi della lancia e un’immensa
fiammata avvolse senza pie287
tà ogni catapulta nemica
incendiandola. Immediatamente, da
quella distesa d’alte fiamme
scaturirono orribili ruggiti di troll e
prontamente Amrong, con perentoria
voce, gridò: “Amhonùn,
mirare!”
La trappola preparata dall’antico
elfo non aveva ancora terminato
il suo compito; l’ampio raggio
d’azione che Amrong
aveva accennato a Tuberon in
precedenza, era stato studiato e
predisposto per far sì che la più
rapida via di fuga da quell’inferno,
sarebbe stata solo ed esclusivamente
in direzione della città
e in breve tempo, infatti, ogni
orrenda creatura sopravvissuta
alla trappola si diresse in direzione
delle mura, sotto forma di
bersaglio infuocato.
“Tirate!” gridò Amrong, ruggendo con
rabbia contro quelle
creature. Ogni arco elfico scoccò la
propria freccia e in breve
tempo, ogni superstite dell’inferno
di fiamme cadde sotto la
silente e fulminea pioggia di
Amhonùn. Dalla loro lontana postazione,
le innumerevoli legioni di orchi
osservarono inorridite
l’inatteso evolversi del loro primo
attacco; sopra la Grande Muraglia
invece, migliaia di voci esultarono
entusiaste.
Lo scontro tuttavia non era che al
suo inizio; immediatamente
l’intero esercito oscuro tornò a
muovere verso la città,
spargendosi per tutto il Nhèt-Nimaron
come una sconfinata
chiazza d’olio e facendo avanzare al
suo interno lentamente, ma
inesorabilmente, le imponenti torri
d’assedio.
Non appena la prima torre giunse a
portata di tiro per eventuali
frecce infuocate però, Amrong decise
di non far scoccare
alcun dardo; la larga trincea della
diga-fossato, infatti, non
avrebbe concesso ad alcuna di quelle
costruzioni di avvicinarsi
abbastanza alle mura della città da
rappresentare una reale
minaccia, e così Amrong, considerando
questo loro vantaggio,
ordinò a tutti gli arcieri di
rimanere immobili, pronti a scoccare
le loro prime frecce contro la
fanteria nemica.
L’ordine di Amrong fu sì solenne da
raggiungere ogni arciere
e, prontamente, un’ondata di frecce
vasta quanto le mura stesse
si abbatté senza pietà contro le
prime file di quell’esercito.
L’improvvisa sfilza di cadaveri e
feriti formatasi nel bel mezzo
del Nhèt-Nimaron fece inevitabilmente
rallentare, e addirittura
inciampare, gran parte degli orchi
che sopraggiungevano e così,
senza concedere alcuna tregua, una
seconda ondata di punte
elfiche si scaraventò violenta sui
nemici caduti in fallo.
La letale tempesta di dardi continuò
a riversarsi sulle teste
delle creature oscure per molto
tempo, infliggendo un altro
duro colpo all’esercito nemico,
tuttavia questo non poté far altro
che rallentare per un po’ i loro
tentativi di incursione, infatti
la forsennata corsa degli orchi verso
le mura raggiunse presto
dimensioni spropositate, tanto che il
numero di frecce scagliato
a ogni ondata divenne quasi
insignificante rispetto al numero
di soldati nemici che sopravanzavano.
Sparuti plotoni di orchetti furono
così in grado di raggiungere
la diga-fossato e di calarvisi
dentro, riuscendo persino a
issare le prime scale dal fondo della
trincea; molti arcieri furono
quindi costretti ad abbandonare i
loro bersagli nel Nhèt-Nimaron,
per concentrare le loro forze presso
quelle scale e rendere
quella risalita un’azione suicida.
Anche se fin dal primo istante
in cui molti arcieri cambiarono i
loro bersagli, infinite altre scale
furono issate dal fondo della
diga-fossato, quelle lente e lunghe
scalate che avrebbero dovuto compiere
gli orchi per raggiungere
la vetta delle mura non sarebbero mai
potute sfociare in alcun
tipo di minaccia per i soldati di
Amhonùn.
Amrong e Tuberon osservarono a lungo
la propria schiera di
guerrieri contrastare e sovrastare
gli invasori senza troppa fatica,
e in entrambi nacque la convinzione
di aver sopravvalutato la
forza degli orchi. L’elfo del
Fellenrhid rivolse allora il suo sguardo
verso il nero campo appena oltre le
mura, certo di riuscire
a scorgere sconforto tra le legioni
nemiche e magari persino
una precoce ritirata. Non appena mirò
in quella direzione però,
la vista di quelle ormai vicinissime
e strane torri d’assedio, as289
semblate come mai aveva visto prima,
gli fece immediatamente
comprendere di essere quanto mai
distante dalla verità.
Quelle imponenti armi di conquista,
pur mostrandosi rudimentali
e piuttosto primitive, raggiungevano
dimensioni mai
osservate in precedenza dall’antico
elfo, tuttavia l’impareggiabile
dimensione di quelle mostruosità era
in realtà l’ultima preoccupazione
di Amrong: alcuni accorgimenti che
vedeva apportati
per la prima volta su armi del genere
lo spaventarono più di
ogni altra cosa.
Enormi e spesse tavole di ferro e
legno, dotate di numerosi
e lunghissimi tronchi appuntiti
paralleli al terreno, ricoprivano
interamente ogni facciata anteriore
di quelle torri; queste grosse
tavole trattenute in verticale grazie
a una serie di carrucole
e catene poste su entrambi i lati, e
mantenute in tensione da
quattro poderosi troll, non potevano
certo trattarsi di semplici
scudi aggiuntivi.
Amrong comprese immediatamente di
aver sottovalutato la
presenza delle torri d’assedio e di
essere ormai in netto ritardo
per tentare di contrastarle tutte.
Tuttavia, senza perdersi d’animo,
ordinò a ogni arciere di scoccare
frecce infuocate ai lati
delle torri, nel tentativo di
abbatterne il più possibile. Questa
contromossa però, non poté che
condurre interi plotoni di goblin
e orchetti nei pressi delle numerose
e incustodite scale e in
breve tempo, da ogni dove, nere
creature raggiunsero la vetta
delle mura, ingaggiando ravvicinati
scontri contro le bianche
lame elfiche.
Tutti quegli scontri non furono certo
in grado di impensierire
le forze di Amhonùn, ma l’incessante
arrivo degli orchi sulla
vetta impegnò notevolmente gli
arcieri sulle mura, negando
loro l’opportunità di riversare
contro quei castelli mobili tutta
la potenza di fuoco di cui
disponevano.
Molto presto, la prima torre
d’assedio raggiunse il ciglio
della diga-fossato e lì mostrò ad
Amrong tutta la sua effettiva
potenza. In quel preciso istante, i
quattro troll mollarono con290
temporaneamente le catene tenute in
tensione e quella sorta di
scudo slittò bruscamente verso il
basso, conficcando saldamente
la sua base nel terreno. Subito dopo,
l’enorme tavola iniziò a
precipitare in avanti, catapultando
il suo apice verso il margine
opposto del fossato, là dove
sorgevano le mura. I massicci tronchi
appuntiti di quella superficie si
dirigevano a gran velocità
verso il terreno e infine un potente
boato atterrì ogni soldato
elfico.
Un improvviso ponte, sorretto da una
miriade di piloni conficcati
a forza nel terreno della
diga-fossato, comparve di fronte
agli increduli occhi di Amhonùn; la
distanza di sicurezza fornita
agli elfi dalla larga trincea non
esisteva più, e mentre quella
prima torre iniziava ad avanzare
verso la città, altre già calavano
il loro scudo sulla diga e altre
ancora stavano per raggiungere
quel margine. La battaglia,
improvvisamente, parve inequivocabilmente
volgere in favore degli orchi.
Nessun commento:
Posta un commento