«Fahryon» parte prima della saga «Il Suono Sacro di Arjiam»,
edito da GDS, è il suo primo romanzo. «Il Risveglio di Fahryon», sempre edito
da GDS, è la parte conclusiva di questo episodio della saga ambientata nel
mondo di Arjiam. Nel 2016 entrambe i libri verranno pubblicati in cartaceo.
I Protagonisti del Romanzo:
Fahryon è una giovane donna; ed è neofita, cioè è un’aspirante
Magh, studia per diventare un’iniziata ai Misteri del Suono Sacro e
praticare l’Armonia. Nelle prime pagine dell’avventura, Tyrnahan, il suo
mentore, s’interroga perplesso sul significato della presenza di quella ragazza
dai grandi occhi scuri, i capelli bruni che le arrivano a vita, «dall’aria
trasognata e dalla figura così fragile con quella carnagione così pallida da
sembrare una statuina di porcellana».
All’inizio, infatti, Fahryon è piena di dubbi e incertezze, ha
momenti di scoraggiamento: la missione che ha giurato di compiere le sembra al
di fuori delle sue possibilità. Non è una predestinata né una prescelta: può
contare solo sulle sue forze e sulla sua capacità/possibilità di scegliere e di
muovere gli eventi senza avere, apparentemente, un talento o un dono
particolari. Lotta accanitamente per superare gli ostacoli e le prove che si
trovano sul suo cammino ma per confrontarsi con se stessa, per crescere e
diventare consapevole della sua “forza”, Fahryon taglia i ponti con il suo
passato e rinuncia perfino a Uszrany, l’uomo che ama.
Una spia al soldo dell’avversario descrive il Cavaliere
Uszrany come un giovane «di carnagione scura, di statura superiore alla media;
i capelli neri e lisci trattenuti con un laccio; il volto, senza barba o baffi,
ha tratti orgogliosi ed alteri».
Già quando entra in scena s’intuisce che Uszrany non è un
Cavaliere qualunque. Infatti, nonostante la giovane età e l’inesperienza, è già
aiutante del Comandante della capitale, uno dei più valorosi Cavalieri del
regno. Uszrany è il cavaliere per eccellenza, forte, coraggioso e, in fondo,
perfino un po’ bigotto nella sua cieca fedeltà alla Regola del suo Ordine. Ma è
giovane e vive le sue convinzioni con la passione, l’impulsività e l’energia di
cui solo un uomo di 20 anni è capace passando da momenti di furia tremenda a
momenti di passione e di dolcezza.
Però, nel giro di poche ore, per la sua stessa salvezza, si
trova costretto a violare il giuramento di fedeltà che lo lega all’Ordine: il
suo perfetto mondo di Cavaliere nutrito di onore e gloria, gli rovina
improvvisamente addosso. Da questo momento, delusione, disillusione e mancanza
di stima per se stesso s’impadroniscono di lui e diventa così la vittima ideale
dell’astuto Mazdraan.
Il nobile Mazdraan colpisce sin
dall’inizio con la sua eleganza e la sua capacità oratoria. Il fascino
che emana la sua persona lo rende temibile: chiunque lo avvicini, non può sottrarsi
alla seduzione della sua voce calda e sensuale, perdendo perfino di vista il
valore delle sue parole per lasciarsi avvolgere, o cullare da essa. Riassume in sé la forza dell’eloquenza, la determinazione,
la capacità di piegare la volontà altrui alla propria senza minacce dirette: gode
nel vedere gli altri soccombere davanti alla sua placida calma, si bea nel far
perdere le staffe al prossimo. Lui, al contrario, non perde quasi mai la
pazienza, trova il modo di sorridere anche quando vorrebbe lasciarsi prendere
dall’ira e s’infuria con se stesso quando perde il controllo.
È un uomo assetato di potere e
disposto a tutto pur di ottenerlo. Non esercita il potere per un motivo
preciso: lo ama. Ogni sua frase, ogni mossa, ogni pausa o ogni parola sono soppesate,
calcolate e mirate per raggiungere uno scopo preciso: il Potere. A parte
questo, nulla lo interessa veramente. Mazdraan lo confessa senza alcuna
incertezza: «Ho tutto ciò che desidero e che il mio rango può offrirmi. Perciò
perché non impegnarmi nella ricerca proibita per raggiungere ciò che ogni uomo
in fondo al suo cuore desidera? Il Potere sugli altri, sul Mondo, sul Tempo ma
non quello apparente e volubile della sovranità, ma quello assoluto che si può
ottenere solo andando oltre alla Legge del Suono Sacro».
Eccovi un piccolo pezzettino - Estratto dal Capitolo 2
«Non hai ancora risposto
alla mia domanda. Hai bisogno di aiuto per schiarirti la memoria?», chiese Mazdraan
sedendosi.
«Non è necessario alcun
tipo d'incoraggiamento, nobile padre», ironizzò Uszrany. «Stavo andando al
Castello e ho incontrato il Comandante Pakudd per strada. Abbiamo avuto un
vivace scambio d’opinioni e ... Beh, ho fatto a pugni con lui», spiegò.
«Hai fatto a pugni col
Comandante Pakudd», ripeté Mazdraan incredulo. «Permettimi di dubitare che il
Comandante Pakudd si sia lasciato trascinare in una rissa da osteria da te, che
non sei poi uno qualunque, ma il figlio del suo superiore di grado, oltre che
nobile Signore di un Dominio. E dove?», chiese sospettoso.
«In riva al Whahajam,
appena fuori della prima porta a sud della cittadella», rispose Uszrany con un
sospiro d'impazienza.
«Che cosa ci facevi in
quel posto da solo? Sei stato tentato dall'idea di partire alla ricerca del tuo
perduto amore?», ironizzò Mazdraan.
«Non avrei dovuto
trovarmi lì da solo ma credevo che Zanthre mi avesse seguito e poi non ho
prestato attenzione alla strada perché ero troppo sbronzo», ammise Uszrany in
tono sinceramente dispiaciuto.
«Per quale motivo hai
litigato con Pakudd? A causa ...», Mazdraan s'interruppe vedendo il viso di
Uszrany contrarsi, «... a causa della piccola dolce Fahryon!», esclamò
scoppiando a ridere dopo il suo piccolo assenso con il capo. «Sei riuscito
almeno a difenderti o hai pensato che non sarebbe stato onorevole combattere
contro il tuo ex-Comandante che, oltretutto, è anche più anziano di te?»,
domandò.
Poi, sempre più
interessato e divertito, fece scivolare all'indietro il sedile per appoggiare i
piedi sul tavolo.
«Eravamo a un punto
morto, quando sono rimasto impigliato in un ramo e lui mi ha steso», confessò
il giovane.
Si sedette a sua volta,
sapendo che suo padre non amava discutere costretto a guardare dal basso in
alto. Mazdraan, sempre più sorpreso per la sua inconsueta gentilezza, sollevò
pensieroso un sopracciglio.
«Conoscendo il
Comandante è già molto che non ti abbia rispedito a casa ridotto a brandelli»,
osservò. «E poi?», insisté.
«Sono rimasto lì a farmi
asciugare gli abiti e a pensare», rispose Uszrany.
«Pensare?!», mormorò
Mazdraan sinceramente stupefatto, alzando il capo di scatto. «Pensare?», ripeté
come se non fosse certo d'avere compreso bene. «Distogliere dal suo torpore
l'organo, che rende la vita d'ogni essere umano diversa da quella di un
animale, deve esserti costato uno sforzo non indifferente, figliolo!», esclamò
ridacchiando. «E questo incantesimo è dovuto al forbito eloquio del nostro
infaticabile Comandante o piuttosto alla forza dei suoi pugni?», lo stuzzicò.
«Il suo forbito eloquio
mi ha provocato ma poi constatare lo stato non particolarmente brillante della
mia forma fisica mi ha spinto a destare il cervello dal suo letargico sopore»,
spiegò Uszrany.
Si sprofondò ancora di
più nel divano per celare il gesto di stizza che quelle parole gli avevano
provocato.
«A quali conclusioni
saresti giunto dopo un così lungo e strenuo confronto con te stesso? O la mia è
una domanda indiscreta?», chiese Mazdraan dopo avere riflettuto attentamente su
ogni sua singola parola.
«Ti avrei parlato
spontaneamente delle mie riflessioni, anche se tu non me lo avessi chiesto. Ho
bisogno della tua autorizzazione per lasciare Tuhtmaar e che tu venga con me a
Zehdûm, nobile padre», disse Uszrany con decisione.
«Dovrei ritenermi
onorato di avere addirittura fatto parte dei tuoi pensieri?», domandò Mazdraan
in tono pungente.
«Non fraintendermi: i
miei sentimenti di devozione e affetto filiale nei tuoi riguardi non sono certo
mutati e non ho alcuna intenzione di mettere da parte quelle che tu definisci
le nostre piccole divergenze d'opinione», si affrettò a chiarire.
«Questo mi rassicura
perché cominciavo a nutrire qualche dubbio sulla tua sincerità», rispose
Mazdraan emettendo un comico sospiro di sollievo. «Ma non credi che, se io lo
desiderassi, riuscirei anche a farti riconsiderare le tue posizioni sugli
argomenti che sembrano dividerci?», domandò con una leggera sfumatura divertita
nella voce.
«Tu sai sempre essere
molto convincente, nobile padre», ammise Uszrany.
«Il cambiamento del tuo
stato d'animo, benché un po' troppo repentino, è davvero stupefacente,
Uszrany», commentò Mazdraan pensieroso. «Ci tieni così tanto ad andare a Zehdûm
in mia compagnia da ignorare perfino le mie battute per non perderti in sconsiderati
sfoghi d'ira. Ma perché vuoi trascinarmi via da Tuhtmaar?», insistette.
Uszrany non rispose,
concentrato a osservare il complesso intreccio di lucenti fili d'oro e
d'argento dell'arazzo che formavano il disegno dell'ultima vittoriosa battaglia
del Grande Re contro gli invasori.
«È vero che il Re
Sahrjym non ha mai voluto usare la Sintonia per vincere i Bahvjim?», chiese
Uszrany.
«Così si dice e così è
scritto nelle Cronache del regno», confermò suo padre con un sospiro
d'impazienza per quell'inopportuna divagazione.
«Se lui ha unito il
nostro popolo ed è riuscito a vincere i nostri nemici senza l'aiuto della
magia, cosa ti spinge a cercare quel potere che nemmeno il Grande Re ha voluto
usare?», domandò Uszrany dopo averlo fissato a lungo. «Perché ti sei impegnato
in una ricerca proibita da tempo immemorabile? Perché vuoi dominare il Suono
Sacro? Perché, nobile Mazdraan?», chiese con rabbia.
«Vedo che le lezioni di
Kehfne ti hanno giovato. Mi complimento per la sottile sfumatura della tua
dialettica: hai perfino evitato di usare l'ironico appellativo di “nobile
padre” per farmi capire che il tuo non è un diversivo, nobile Uszrany, e non
hai nemmeno fracassato qualcosa!», osservò ironico. «Che cosa speri? Di
commuovermi e farmi giurare che smetterò d'inseguire il mio obiettivo per
formare insieme a Fahryon una bella famiglia felice?», commentò con durezza.
«Vorresti, piuttosto, rispondere alla mia domanda, visto che la tua non è
pertinente alla nostra conversazione?».
«È pertinente invece»,
protestò Uszrany vivacemente, andando a piazzarsi di fronte a lui dall'altra
parte del tavolo e appoggiandovi sopra le mani. «Io vorrei almeno sapere il
perché di tutto questo. Per te, mia madre, Xhanys, Nehenys, la famiglia di
Fahryon, lo stesso Tyrnahan non contavano nulla: vivi o morti ti erano, e ti
sono, del tutto indifferenti, perché per te siamo tutti dei casuali accidenti
sul tuo cammino. Se ti serviamo bene, se ti ostacoliamo ci elimini, altrimenti
è come se non esistessimo neppure. Per te non esiste alcun legame, alcun
vincolo né di affetto né di amicizia, non rispetti alcun patto e non tieni in
conto alcun giuramento: sarebbe potuta risorgere dalle sue ceneri mia madre per
venire personalmente a confessarti che ero tuo figlio ma, se io non avessi
posseduto il Cristallo, tu non avresti mosso nemmeno un dito per riconoscermi o
farmi nominare tuo erede. Invece, per quel Cristallo hai sconvolto la mia vita,
distruggendo l'esistenza delle persone che avevo più care al mondo. E mi vieni
a dire che questo non è pertinente alla nostra discussione?», concluse in tono
sempre più appassionato e veemente.
Mazdraan lo fissò
impassibile per qualche istante ancora, poi lo invitò a sedersi. «Se hai
terminato con l'ennesima esternazione incontrollata dei tuoi pensieri e delle
tue emozioni, possiamo tornare al motivo per cui vorresti andare a Zehdûm e, se
ti è possibile, senza altre patetiche digressioni», precisò sorridendogli
tranquillo.
«Voglio andarci per
impegnare in maniera meno futile il mio tempo. La compagnia di Zanthre è divertente
ma sbronzarmi ha solo peggiorato il mio stato letargico. Ammetto, anche, che
non essere stato in grado di difendermi è stato un duro colpo da sopportare per
il mio orgoglio. A Zehdûm, invece, potrei rendermi utile. Farei volentieri a
meno della tua presenza ma non credo che tu ti fidi di me a tal punto da
lasciarmi partire da solo», spiegò Uszrany quasi senza prendere respiro.
«Pensi che nobile
Tszaraday rimarrà buono in un angolo mentre tu gli porti via il suo giocattolo
preferito?», gli ricordò Mazdraan con un sorriso canzonatorio.
«Lo farà, nobile padre,
perché teme troppo gli scandali: sono il suo incubo», affermò Uszrany senza la
minima esitazione.
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