Troppo bello per essere ignorato !
FantaBestiario. Le creature dell'immaginario fantastico: L’Unicorno
Uno degli animali più sfuggenti e affascinanti della storia della
letteratura fantastica e fiabesca è l’unicorno. Animale dai molti nomi:
liocorno, alicorno, monocero o unicorno, comunque vogliate chiamarlo,
esso rimanda a una precisa rappresentazione che ha origine
nell’antichità, ma si rende più definita con i Bestiari fantastici
medievali.
L’unicorno, al pari del suo nome, ha
un carattere nebuloso e indefinito, fatto di ambiguità, mistero e
poesia. Per parlare di lui, occorre affondare nei meandri di un
intricato groviglio di fraintendimenti, miti, credenze e realtà. La
prima fonte sugli unicorni è Ctesia di Cnido, storico greco e medico
vissuto, sembrerebbe, nel V sec. a. C. alla corte persiana. Egli
racconta di un animale selvatico collocabile in India, un asino in
apparenza, bianco nel corpo e rapidissimo, con la testa scarlatta, gli
occhi blu, e un grande corno appuntito sulla fronte, di tre colori:
bianco alla base, nero nel mezzo, e rosso in punta. Plinio il Vecchio,
che certo conosceva l’opera di Ctesia, nel suo monumentale trattato
enciclopedico, “La Storia Naturale” (libro VII, cap. 31) parla di
“buoi dallo zoccolo compatto” che al suo tempo vivevano in India, e
che, sempre a suo dire, erano “provvisti di un unico corno”. In latino
il termine è proprio unicornis. A queste informazioni Plinio aggiunge:
“Ma
la bestia più selvaggia dell’India è il monocero, nel corpo simile al
cavallo, nella testa al cervo, nelle zampe all’elefante, nella coda al
cinghiale, dal grave muggito, con un solo corno nero nel mezzo della
fronte,lungo due cubiti. Dicono che questa fiera non si lasci prendere
viva.”
Vediamo di capire a che cosa sta facendo riferimento Plinio. Chiama monoceros
l’animale che descrive, ma molti traduttori, per rendere più chiaro di
che cosa stia parlando l’autore latino, riportano “monocero o unicorno”.
In effetti il termine non è altro che l’unione di monos (uno solo) e keras (corno); insomma, si tratta semplicemente del corrispettivo greco del latino uni-cornis.
“L’animale dall’unico corno”, dunque. Eppure, se facciamo attenzione
alla descrizione di Plinio, non si tratta effettivamente di quello che
poi nell’immaginario medievale verrà cristallizzato nella forma
dell’unicorno. Questo monocero è una creatura feroce, selvaggia, con il
corpo simile a un cavallo, sì, ma la testa come quella di un cervo e i
piedi come quelli di un pachiderma. L’unico elemento - fondamentale,
s’intende! - che sembra ricondurre all’unicorno è questo unico corno
d’un “nero lucente” (tale il significato proprio di niger, diverso da ater, che indica il “nero opaco”), un corno lungo addirittura due cubiti, cioè poco meno di un 50 cm.
Alcuni
studiosi hanno avanzato l’ipotesi che Plinio stesse parlando del
rinoceronte, ma il nostro autore, nella sua opera, dimostra di conoscere
bene anche questo animale e di distinguerlo perfettamente da quello che
lui chiama monocero, pertanto questa tesi va accantonata.
È
nel medioevo e con il proliferare dell’interesse per la natura,
l’alchimia e i loro simboli, che l’unicorno assume l’aspetto e i
caratteri che tanta fortuna avranno fino ai nostri giorni. Viene
raffigurato come un cavallino leggiadro e bianco, piccolo, a indicare
l’umiltà, altre volte, invece, più grosso di un cavallo comune, a
simboleggiare la potenza. Suo tratto specifico è certamente il lungo
corno affusolato sulla fronte, in alcuni casi attorcigliato e per questo
chiamato alicorno. Diversi autori o artisti aggiungono a questi tratti
di base una barbetta caprina e perfino un paio d’ali candide.
L’unicorno diventa un simbolo carico di significati anche magici.
Collegato ai poteri alchemici, veniva associato al mercurio e sembrava
rappresentare i tre stadi della trasformazione alchemica con quel suo
corno tricolore (bianco, nero e rosso). Ma di lui si parla anche per le
sue proprietà guaritrici. Ctesia ed Eliano (autore di una Storia degli animali)
sono i primi a soffermarsi sui poteri taumaturgici del suo corno, cui
veniva attribuita la capacità di guarire dall’epilessia e di contrastare
e vanificare l’effetto dei veleni. Pertanto, nell’età di mezzo si
diffuse l’usanza di intingere un pezzo del corno di uno di questi
prodigiosi animali nelle anfore prima di berne il contenuto, o usare gli
interi corni come coppe. In realtà, come è evidente, i corni che
venivano adoperati per simili pratiche non erano quelli di liocorno,
bensì denti di narvalo o corni di orice, una specie di antilope; altre
volte si trattava soltanto di una composizione artificiale di ossa di
diversi animali. Tuttavia al rituale sembra partecipassero anche
personaggi eminenti, come Papa Bonifacio VIII, che nei tesori papali
poteva menzionare quattro corni di unicorno, in tutta probabilità dei
falsi, ma ritenuti portentosi per prevenire tentativi di avvelenamento.
Ciò dimostra la grande fortuna simbolica di queste credenze, diffuse in
modo capillare nella società del tempo.
L’unicorno
incarnava le fattezze della purezza, fragile ma invincibile, della
nobiltà e della penetrazione del divino nel mondo umano e naturale, e
finì così per diventare animale simbolo del Cristo nelle rilettura
cristiana.
Di contro, in età cortese viene
identificato anche con la sensualità. Comincia infatti a farsi strada la
leggenda ch’esso possa essere catturato solo da una vergine, alla quale
si avvicina docilmente, accucciandosi sul suo grembo. Alla sua
incorruttibile purezza, dunque, fa contro la debolezza verso il fascino
della giovane dama illibata, che lo rende protagonista di numerose
raffigurazioni: fra tutte si ricordino gli arazzi fiamminghi del ciclo
della Dama e l’unicorno, oggi custoditi presso l’ Hôtel de Cluny a Parigi.
In Cina l’unicorno è uno dei quattro animali di buon augurio ed è chiamato k’i-lin. Esso,
capace di vivere fino a mille anni, rappresenta la regalità e la virtù
sovrana, infatti la sua manifestazione è presagio della venuta di un re
valoroso e giusto. La raffigurazione delle sue fattezze è ancora diversa
da quelle precedenti. Infatti, il k’i-lin è un animale
variopinto sul dorso, bruno o fulvo sul ventre, col corpo di cervo, coda
di bue e testa di cavallo. Unico elemento immutabile, il lungo corno
che spicca sulla fronte, composto tuttavia di carne e non d’osso. Si
racconta che la madre di Confucio ne sognò un esemplare prima di dare
alla luce l’illustre figlio e che i cavalieri di Gengis Khan ne incontrarono uno che parlò loro per fermarne l’avanzata, quasi fosse un messaggero celeste.
In
seguito l’unicorno non ha perso il suo fascino mitopoeitico e favoloso,
divenendo animale fantastico al centro di molte storie e romanzi di
grande successo, a partire dalle antiche storie delle Mille e una notte, dove appare sottoforma di karkadann, un animale fiabesco, a metà tra unicorno e rinoceronte, protagonista di alcune avventure del marinaio Sindbad.
Da L’ultimo unicorno
di Peter S. Beagle - dove l’animale è una femmina in cerca di scoprire
quale sorte è toccata agli altri della sua specie - fino a L’unicorno nero
di Terry Brooks, o all’animale dal sangue salvifico della Rowling, il
liocorno si impone come creatura del fantastico e dell’ignoto, del sogno
e della purezza, pronto a riscrivere i suoi poteri e la sua
rappresentazione per diventare protagonista di nuove, enigmatiche
storie.
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