giovedì 29 settembre 2011

Gli Elfi ed i rapporti con gli animali

Gli Elfi e gli animali

I loro rifugi sono meravigliose costruzioni di legna e pietra che formano un tutt'uno con la natura. 



Gli elfi sentono un profondo legame con la terra e gli animali. Molti elfi scoprono più tardi di altri questi richiami ma normalmente il loro primo impulso é quello di unione con la natura.


 
 





Vestono con tessuti e gioielli di rara bellezza e delicatezza che riprendono le forme degli alberi, degli animali, delle foglie e dell'acqua. Amano i colori sgargianti dei fiori e delle foresta. La loro vita é lunghissima, paragonabile a quella di molti alberi secolari. 
In realtà le leggende vogliono che alla loro morte, gli elfi si trasformino proprio in questi alberi destinati a diventare antichi guardiani della foresta. 



Amano stare all’aperto e raramente si trovano a disagio per questioni legate al clima, sia esso torrido, glaciale o umido.
Alcuni elfi possono sviluppare una sorta di empatia con gli animali oppure riescono ad interagire con la memoria di alcuni vecchi alberi, ma si tratta di pratiche molto rare. 















martedì 27 settembre 2011

Gif Animate Creature Fantastiche

Drago








Unicorno




                  






FantaBestiario. Le creature dell'immaginario fantastico: La Fenice



La Fenice

La fenice, un animale fantastico e mitico, ha alcune caratteristiche che lo rendono unico tra tutti gli animali, come affermano tutti i bestiari: «C’è un uccello che ha nome fenice: nel sacro scritto troviamo che quell’uccello non è comune, perché non ne è esistito che uno. Esso è un uccello molto grazioso, e canta molto bene, ma la cosa più sorprendente è la sua proprietà: trascorsi 50 anni di vita, la fenice vola alla ricerca di un albero di nome libano, dove trova preziosi unguenti ed aromi. Fa un bel mucchio di tutte quelle spezie e di pietre preziose, e le porta in un unico posto.» Sono evidenti le variazioni tra le versioni dei bestiari: l’ età della fenice varia da 50 a 500 anni, in alcuni le spezie e le gemme vengono cercate e preparate su un altare da un sacerdote.  Il racconto continua: «Quindi, quando è pronta, fa sprizzare il fuoco dalle pietre, sbatte le ali per alimentarlo e, una volta che quello è abbastanza forte, si lascia cadere tra le fiamme e viene incenerita completamente. Il primo giorno da quella cenere spunta un vermicello; durante il secondo è già diventato un uccellino. Infine, il terzo ed ultimo giorno, l’ uccellino riprende forma di fenice ed è tutto rinnovato.» Infine il significato religioso della fenice: «Quell’ uccello simboleggia Cristo, che scese dal cielo per colmarsi del vecchio e del nuovo testamento, e, dopo che fu crocefisso, il terzo giorno risuscitò. Così infatti aveva detto Dio: “Io ho il potere di dare e di togliere la vita”, ed infatti a Gesù era stata tolta la vita che poi si era ripreso.»


Secondo Wikipedia:

La fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba fenice, era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne la fenice. Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume — una rosa ed una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco —. In Egitto era solitamente raffigurata con la corona Atef o con l'emblema del disco solare.

La morte e resurrezione

Dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/ 1468, o addirittura 12955/ 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.
Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.
Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"), dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Eliopoli e si posava sopra l'albero sacro,
«cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra»
- per altro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio Shu.
Ma nella antica tradizione riportata da Erodoto, la fenice risorge ogni 500 anni, come riportato da Cheremone, filosofo stoico iniziato ai misteri egizi che parla di un <periodo solstiziale>, da Orapollo vissuto sotto Zenone (474-491) che -come sappiamo dal lessico Suida - diresse la scuola egizia a Menouthis, presso Alessandria, da Eliano di Preneste; la rinascita della fenice cela per tutti questi autori un periodo astronomico connesso alla resurrezione di Osiride. Già nel Capitolo 125 del Libro dei Morti, Osiride afferma di rinascere come fenice nella città di On (Eliopoli) sede di miti cosmologici; contestualmente, infatti, Osiride si identifica con il Duplice Leone nei nomi di Ieri e Domani, ovvero Osiride e Ra, simbolo esoterico preposto alle rinascite dei cicli solari[1]. Orapollo palesa senza veli che la fenice è una delle manifestazioni del sole <dai molti occhi> come interpretato da Sbordone che riporta una grafia tarda del nome di Osiride costituita da un occhio e uno scettro. Da qui l'occhio della fenice inteso come l'illuminazione consapevole di Osiride che - sempre secondo Orapollo - rinascendo incarna <il rinnovamento ciclico degli astri> , intrinseco alla fiamma del <periodo solstiziale> della fenice riportato in un frammento di Cheremone.


Storicamente parlando, viene menzionata per la prima volta in un libro, l'esodo (VIII secolo a.C.). Uno dei primi resoconti dettagliati ce lo fa lo storico greco Erodoto circa due secoli dopo:

« Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l'ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Eliopoli) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall'Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull'altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale (il cremisi: un rosso acceso). E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un'aquila. »
 Vi sono controparti della Fenice in praticamente tutte le culture: sumera, assira, inca, azteca, russa (l'uccello di fuoco), quella dei nativi americani (Yel), e in particolare nella mitologia cinese (Feng), indù e buddista (Garuda), giapponese (Ho-oo o Karura), ed ebraica (Milcham):


Immagine delle Fenice da un Bestiario moderno

La fenice sembra che fosse già venerata dalla più antica delle religioni egiziane, era considerata una delle
forme assunte da Atum, il dio primordiale dell’Enneade di Eliopoli, la città dei nove dèi originari. Pare che abbia anche a che vedere con la processione degli equinozi


vedi Link : http://www.esonet.org/studi-sullantico-egitto/la-fenice-e-la-precessione-degli-equinozi


Per approfondimenti ulteriori : http://it.wikipedia.org/wiki/Fenice

FantaBestiario. Le creature dell'immaginario fantastico - L'Unicorno

Dal Blog True Fantasy http://truefantasyitaly.blogspot.com/   ho ripresto punto per punto questo post su uno degli animali fantastici più interessanti - il mitico Unicorno

Troppo bello per essere ignorato !

FantaBestiario. Le creature dell'immaginario fantastico: L’Unicorno

uni3 Uno degli animali più sfuggenti e affascinanti della storia della letteratura fantastica e fiabesca è l’unicorno. Animale dai molti nomi: liocorno, alicorno, monocero o unicorno, comunque vogliate chiamarlo, esso rimanda a una precisa rappresentazione che ha origine nell’antichità, ma si rende più definita con i Bestiari fantastici medievali.
L’unicorno, al pari del suo nome, ha un carattere nebuloso e indefinito, fatto di ambiguità, mistero e poesia. Per parlare di lui, occorre affondare nei meandri di un intricato groviglio di fraintendimenti, miti, credenze e realtà. La prima fonte sugli unicorni è Ctesia di Cnido, storico greco e medico vissuto, sembrerebbe, nel V sec. a. C. alla corte persiana. Egli racconta di un animale selvatico collocabile in India, un asino in apparenza, bianco nel corpo e rapidissimo, con la testa scarlatta, gli occhi blu, e un grande corno appuntito sulla fronte, di tre colori: bianco alla base, nero nel mezzo, e rosso in punta. Plinio il Vecchio, che certo conosceva l’opera di Ctesia, nel suo monumentale trattato enciclopedico, “La Storia Naturale” (libro VII, cap. 31) parla di “buoi dallo zoccolo compatto” che al suo tempo vivevano in India, e che, sempre a suo dire, erano “provvisti di un unico corno”. In latino il termine è proprio unicornis. A queste informazioni Plinio aggiunge:
“Ma la bestia più selvaggia dell’India è il monocero, nel corpo simile al cavallo, nella testa al cervo, nelle zampe all’elefante, nella coda al cinghiale, dal grave muggito, con un solo corno nero nel mezzo della fronte,lungo due cubiti. Dicono che questa fiera non si lasci prendere viva.”
Unicorno della forestaVediamo di capire a che cosa sta facendo riferimento Plinio. Chiama monoceros l’animale che descrive, ma molti traduttori, per rendere più chiaro di che cosa stia parlando l’autore latino, riportano “monocero o unicorno”. In effetti il termine non è altro che l’unione di monos (uno solo) e keras (corno); insomma, si tratta semplicemente del corrispettivo greco del latino uni-cornis. “L’animale dall’unico corno”, dunque. Eppure, se facciamo attenzione alla descrizione di Plinio, non si tratta effettivamente di quello che poi nell’immaginario medievale verrà cristallizzato nella forma dell’unicorno. Questo monocero è una creatura feroce, selvaggia, con il corpo simile a un cavallo, sì, ma la testa come quella di un cervo e i piedi come quelli di un pachiderma. L’unico elemento - fondamentale, s’intende! - che sembra ricondurre all’unicorno è questo unico corno d’un “nero lucente” (tale il significato proprio di niger, diverso da ater, che indica il “nero opaco”), un corno lungo addirittura due cubiti, cioè poco meno di un 50 cm.
Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che Plinio stesse parlando del rinoceronte, ma il nostro autore, nella sua opera, dimostra di conoscere bene anche questo animale e di distinguerlo perfettamente da quello che lui chiama monocero, pertanto questa tesi va accantonata.
È nel medioevo e con il proliferare dell’interesse per la natura, l’alchimia e i loro simboli, che l’unicorno assume l’aspetto e i caratteri che tanta fortuna avranno fino ai nostri giorni. Viene raffigurato come un cavallino leggiadro e bianco, piccolo, a indicare l’umiltà, altre volte, invece, più grosso di un cavallo comune, a simboleggiare la potenza. Suo tratto specifico è certamente il lungo corno affusolato sulla fronte, in alcuni casi attorcigliato e per questo chiamato alicorno. Diversi autori o artisti aggiungono a questi tratti di base una barbetta caprina e perfino un paio d’ali candide.
fantasy_unicorn L’unicorno diventa un simbolo carico di significati anche magici. Collegato ai poteri alchemici, veniva associato al mercurio e sembrava rappresentare i tre stadi della trasformazione alchemica con quel suo corno tricolore (bianco, nero e rosso). Ma di lui si parla anche per le sue proprietà guaritrici. Ctesia ed Eliano (autore di una Storia degli animali) sono i primi a soffermarsi sui poteri taumaturgici del suo corno, cui veniva attribuita la capacità di guarire dall’epilessia e di contrastare e vanificare l’effetto dei veleni. Pertanto, nell’età di mezzo si diffuse l’usanza di intingere un pezzo del corno di uno di questi prodigiosi animali nelle anfore prima di berne il contenuto, o usare gli interi corni come coppe. In realtà, come è evidente, i corni che venivano adoperati per simili pratiche non erano quelli di liocorno, bensì denti di narvalo o corni di orice, una specie di antilope; altre volte si trattava soltanto di una composizione artificiale di ossa di diversi animali. Tuttavia al rituale sembra partecipassero anche personaggi eminenti, come Papa Bonifacio VIII, che nei tesori papali poteva menzionare quattro corni di unicorno, in tutta probabilità dei falsi, ma ritenuti portentosi per prevenire tentativi di avvelenamento. Ciò dimostra la grande fortuna simbolica di queste credenze, diffuse in modo capillare nella società del tempo.
L’unicorno incarnava le fattezze della purezza, fragile ma invincibile, della nobiltà e della penetrazione del divino nel mondo umano e naturale, e finì così per diventare animale simbolo del Cristo nelle rilettura cristiana.
Di contro, in età cortese viene identificato anche con la sensualità. Comincia infatti a farsi strada la leggenda ch’esso possa essere catturato solo da una vergine, alla quale si avvicina docilmente, accucciandosi sul suo grembo. Alla sua incorruttibile purezza, dunque, fa contro la debolezza verso il fascino della giovane dama illibata, che lo rende protagonista di numerose raffigurazioni: fra tutte si ricordino gli arazzi fiamminghi del ciclo della Dama e l’unicorno, oggi custoditi presso l’ Hôtel de Cluny a Parigi.
la vergine e l'unicorno In Cina l’unicorno è uno dei quattro animali di buon augurio ed è chiamato k’i-lin. Esso, capace di vivere fino a mille anni, rappresenta la regalità e la virtù sovrana, infatti la sua manifestazione è presagio della venuta di un re valoroso e giusto. La raffigurazione delle sue fattezze è ancora diversa da quelle precedenti. Infatti, il k’i-lin è un animale variopinto sul dorso, bruno o fulvo sul ventre, col corpo di cervo, coda di bue e testa di cavallo. Unico elemento immutabile, il lungo corno che spicca sulla fronte, composto tuttavia di carne e non d’osso. Si racconta che la madre di Confucio ne sognò un esemplare prima di dare alla luce l’illustre figlio e che i cavalieri di Gengis Khan ne incontrarono uno che parlò loro per fermarne l’avanzata, quasi fosse un messaggero celeste.
In seguito l’unicorno non ha perso il suo fascino mitopoeitico e favoloso, divenendo animale fantastico al centro di molte storie e romanzi di grande successo, a partire dalle antiche storie delle Mille e una notte, dove appare sottoforma di karkadann, un animale fiabesco, a metà tra unicorno e rinoceronte, protagonista di alcune avventure del marinaio Sindbad.
Da L’ultimo unicorno di Peter S. Beagle - dove l’animale è una femmina in cerca di scoprire quale sorte è toccata agli altri della sua specie - fino a L’unicorno nero di Terry Brooks, o all’animale dal sangue salvifico della Rowling, il liocorno si impone come creatura del fantastico e dell’ignoto, del sogno e della purezza, pronto a riscrivere i suoi poteri e la sua rappresentazione per diventare protagonista di nuove, enigmatiche storie.
 
 unicorn Lavinia Scolari

Linguaggio Elfico 2


Fra i più comuni linguaggi elfici ci sono il  Quenya ed Il Sindarin 


Quenya (pronunciato [ˈkwɛnja]), è una lingua artificiale di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien.
Il Quenya (conosciuto come Qenya fino alla seconda metà degli anni '40), chiamato anche Favella degli Eldar (Eldarin), Alto Elfico, Parmalambe, Tarquesta, Lingua di Valinor, Lingua dei Noldor (Noldorin), Alta Lingua dell'Occidente o Alto Eldarin.[1] è un idioma fittizio, ma grammaticalmente e storicamente realistico, parlato dagli Alti Elfi (non Teleri) che raggiunsero Valinor e poi migrarono verso la Terra di Mezzo. Originario di Aman, sarebbe stato sviluppato dagli Eldar sulla base di una lingua precedente, denominata Eldarin comune, e contiene ancora tutte le caratteristiche principali del primo linguaggio elfico, inventato subito dopo il loro risveglio sulle rive del lago di Cuiviénen.

Facendo riferimento soprattutto sulla dichiarazione del figlio di Tolkien (Christopher Tolkien) si può capire di come le varie lingue (specie quelle elfiche come il Quenya o il Sindarin) siano necessariamente imparentate tra di loro. Ecco una serie di comparazioni (in tre lingue: Quenya, Sindarin e Telerin a favore di questo fatto:

ItalianoQuenya Sindarin TelerinRadice primitiva
albero alda, ornë galadh, orn galla ORN-, GAL(D)-
andare lelya- glenna delia DELE-
barba fanga, phanga fang spanga SPÁNAG-
cavallo rocco roch rocca ROC-
dire quet ped pet KWE(T)-
donna nis, inya bess din N(D)IS-
farfalla vilvarin gwilwileth vilverin WIL- "volare"
lancia,oggetto appuntito nehtë naith  ? NEK-
melodia lindë lind lindai LIN(D)-
nero mor, morë myr mori MOR-
uomo nobile arata arphen arpen AR- "nobile" e (PEN "uomo")
perdersi, partire auta-  ? auta- AWA-, WÂ-
perduto vanwa  ? vanua AWA-, WÂ-
popolo, folla lië gwaith lie LI(Ê)-
pugno quár paur pár KWAR-
scudo thandá thang trumbe THAN-
sporgere keglé cai  ? KEG-

« Il Grigio Elfico era [...] il linguaggio di quegli Eldar i quali erano giunti alle sponde della Terra di Mezzo, e invece di traversare il Mare erano rimasti sulle coste del Beleriand. Il loro re era Thingol Grigiomanto di Doriath, e durante il lungo crepuscolo il loro idioma si era trasformato con la mutevolezza delle terre dei mortali, divergendo notevolmente dal linguaggio degli Eldar di là dal Mare. »
(J.R.R. Tolkien. Il Signore degli Anelli, - Appendice F)

Il Sindarin (detto anche Grigio Elfico) è un lingua artificiale di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien. Fu il linguaggio elfico più comunemente parlato nella Terra di Mezzo durante la Terza Era.
Era la lingua dei Sindar, che, nonostante i tentativi del loro Re Thingol, non vollero partire per il Grande Viaggio oltre il Belegaer. È derivata da un'antica lingua chiamata Telerin comune. Quando i Noldor ritornarono nella Terra di Mezzo, adottarono il linguaggio Sindarin, anche se consideravano la loro lingua madre, il Quenya, più bella. Il Sindarin condivide con quest'ultima una radice comune, l'Eldarin, e le due lingue hanno molti termini simili. Il Sindarin è generalmente più mutevole dell'altra lingua, e ne esistono numerosi dialetti, parlati dalle varie etnie della Terra di Mezzo. Nel Doriath il Sindarin era considerata la più alta e nobile forma di linguaggio.
Prima della Caduta, molti Uomini di Númenor parlavano questo linguaggio, quando ancora l'essere amico degli Elfi non era un problema. Il suo utilizzo venne esportato dai númenóreani in esilio nella Terra di Mezzo, specialmente in Gondor. Il Sindarin è la lingua a cui ci si riferisce ne Il Signore degli Anelli parlando di "lingua elfica".
Tolkien originariamente pensò che il linguaggio che poi si sarebbe chiamato Sindarin sarebbe dovuto essere parlato dai Noldor. Ma più tardi cambiò idea, e decise di farne la lingua dei Sindar. Per questa ragione in qualche vecchio materiale, come le Etimologie, questa lingua è chiamata Noldorin. Quando "Noldorin" diventò "Sindarin", la lingua riprese molto da quello che in un primo momento Tolkien immaginò essere il linguaggio "indigeno" del Beleriand, quello parlato dai Teleri non partiti per Aman: l'Ilkorin.
Tolkien basò il suono e parte della grammatica del Sindarin sulla lingua gaelica, riprendendo molte mutazioni tipiche del linguaggio celtico (specialmente il brittonico). Inoltre il linguaggio risente molto degli influssi delle lingue germaniche, essendo Tolkien uno studioso di old english, norreno e gotico.
Prima che i Noldor tornassero nella Terra di Mezzo, il Sindarin era scritto in alfabeto runico, ma dopo questo evento si cominciarono ad usare normalmente le Tengwar.

La Lingua degli Elfi

La lingua elfica - fonte Wikipedia:

Una lingua elfica è una lingua parlata dagli Elfi.
Nell'universo immaginario creato da J.R.R. Tolkien, gli Elfi parlano diversi linguaggi:
I principali sono comunque il Quenya e il Sindarin (si veda la lista di linguaggi di Arda).

I linguaggi di Arda sono lingue artificiali inventate da J.R.R. Tolkien e usate nei suoi libri fantasy ambientati nell'universo immaginario di Arda: Lo Hobbit (The Hobbit), Il Signore degli Anelli (The Lord of the Rings) e Il Silmarillion (The Silmarillion). Sono importanti come ispirazione e punto di partenza per le storie e gli eventi della Terra di Mezzo e come metodo per dare realismo linguistico e profondità ai nomi ed alle parole usati generalmente nel fantasy e nelle storie di fantascienza (alcuni di questi linguaggi sono stati usati infatti anche da altri autori per i propri libri). I più complessi, come il Quenya, dimostrano quale sia il genio di un autore che ha avuto la capacità di inventare lingue e di crearne la grammatica, nonché di fornirle anche, ed in alcuni casi ampiamente, di una letteratura.


 Un vizio segreto 

Tra gli inusuali hobby di Tolkien bisogna infatti ricordare ciò che descrisse nel suo saggio Il vizio segreto (A Secret Vice, pubblicato nella raccolta Il medioevo e il fantastico), ovvero l'invenzione di nuovi linguaggi.
Tutto ebbe inizio quando il giovane Tolkien ascoltò per caso un gruppo di ragazzi parlare in animalico (o animalese), un linguaggio-gioco che si serviva esclusivamente di nomi di animali e numeri per comunicare qualsiasi tipo di informazione: ad esempio «cane usignolo picchio quaranta» poteva voler dire "tu sei un somaro". Successivamente l'animalico venne dimenticato e sostituito da un nuovo idioma: il Nevbosh, che storpiava in maniera irriconoscibile le parole inglesi sostituendole in alcuni casi con altre latine o francesi. Da allora l'interesse di Tolkien per le lingue non fece che aumentare. Nel suo saggio Inglese e gallese Tolkien ricorda il giorno in cui per la prima volta vide su una lapide le parole Adeiladwyd 1887 ("costruito nel 1887") e se ne innamorò. Il gallese divenne una fonte inesauribile di bei suoni e perfette costruzioni grammaticali, un linguaggio melodioso a cui poter attingere per le sue future invenzioni linguistiche. Infatti dopo il gallese venne il finnico (suomi), e prima di esso il greco e l'italiano (il francese invece, da sempre considerato un bel linguaggio, non gli diede mai le stesse sensazioni), e l'immaginazione prese il sopravvento.
Bisogna infine ricordare che lo stesso Tolkien, scrisse in una delle sue lettere che «Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro (Il Signore degli Anelli) è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero». Le storie della Terra di Mezzo erano quindi servite unicamente a dare una collocazione (seppur fittizia) alle parole dei suoi linguaggi, e non era stato il contrario.

  1. Lingue elfiche:
  2. Linguaggi umani (tutti mostrano influenze dall'Avarin così come il Khuzdul):
  3. La lingua segreta dei Nani:
  4. Linguaggi degli Ent:
  5. Linguaggi degli Ainur (Valar e Maiar)