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giovedì 15 novembre 2012

Il Drago e la Bambina


“C’era una volta una bambina di nome Cassandra che abitava nella più alta torre di una lugubre fortezza nascosta in un fitto bosco. Insieme a lei vivevano una maga brutta e perfida e un drago enorme ma buono. La bimba non lo sapeva, ma era in realtà una principessina. Anni prima, quando era ancora in fasce, era stata rapita dalla strega, irata col re suo padre per non averle concesso di diventare la protettrice del regno. Era stata quindi condotta nel vecchio castello ed allevata col solo scopo di servire la vecchia megera. Ma Cassandra non sapeva nulla di tutto questo: pensava di essere una povera orfanella che la strega, nella sua infinita bontà, avesse accolto nella sua casa. La donna le aveva infatti raccontato di averla trovata per la strada in una cesta e di averla sottratta a dei briganti che volevano raccoglierla e venderla. Ragione per cui la bimba le era infinitamente grata e, nonostante quella la trattasse sempre in malo modo, non poteva fare a meno di sorriderle e di soddisfare ogni suo desiderio. Certo, la vita al castello per lei non era facile: ogni giorno doveva spazzare i pavimenti, spolverare i libri e lustrare tutte le ampolle delle pozioni tanto da farle brillare. Poi doveva pulire accuratamente tutte le vetrate colorate del maniero, perché alla strega piacevano i giochi di sfumature prodotti dalla luce del sole che le illuminava…………La piccola Cassandra non aveva quasi mai un attimo di pace. Per fortuna, però, ad aiutarla c’era il suo inseparabile amico Berto, il drago. Berto era grande come una casa, col corpo blu come il mare più profondo e le ali di un rosso caldo come il sole al tramonto. Aveva enormi occhi di un azzurro intenso come il cielo in una mattinata limpida, una cresta nera come una notte senza stelle e senza luna ed un muso così simpatico che la bimba proprio non capiva come riuscisse a spaventare qualcuno. Lui le dava una mano nelle faccende domestiche. Ad esempio, legava degli spazzoloni alla coda per poter pulire i pavimenti scodinzolando. O sbatteva le lunghe ciglia vicino alla libreria per spolverare in men che non si dica tutti i libri. O si sgranchiva le ali proprio davanti al filo del bucato in modo che questo, col movimento dell’aria, si asciugasse più in fretta. Insomma: si dava da fare in ogni modo possibile per aiutare la sua piccola amica.
E, quando tutti i doveri quotidiani erano stati portati e termine, si caricava la principessina sul dorso e insieme volavano via ad esplorare il mondo. Certo, di questo la strega non era molto contenta, ma il drago la aveva dato la propria parola d’onore che avrebbe sempre riportato indietro la piccola e che non le avrebbe mai permesso di scappare. E, nonostante la parola di un drago fosse sacra, la megera si era premunita di minacciarlo che, se non non fosse tornata, la piccola sarebbe morta. E così scorreva la loro vita, tra il lavoro di ogni giorno e le grandi fughe. Berto mostrò a Cassandra luoghi incantevoli ed indimenticabili. La condusse attraverso i deserti divertendosi a cambiare la forma delle dune col movimento delle ali e a fare castelli di sabbia sulla riva degli specchi d’acqua nelle oasi. Sorvolò boschi e giungle soffiando leggermente tra le foglie degli alberi in modo che tutti gli uccelli si alzassero in volo e Cassandra potesse vederne gli sgargianti colori. Passò su città e paesi ridendo con lei nel veder fuggire spaventati gli abitanti, che dall’alto sembravano tante formichine. Sfiorò col grande corpo mari ed oceani, perché lei potesse assaporare gli schizzi di acqua salata e potesse scorgere le sagome dei grandi animali marini. Una sera la portò addirittura su nello spazio più profondo, perché potesse ammirare la luminosità di ogni stella del firmamento e potesse prendere un pugno di polvere di luna da conservare in una bottiglietta per illuminare la sua stanza di argentei bagliori. La bimba crebbe, e crescendo divenne una splendida fanciulla. Ma non era solo bella: il lavoro di ogni giorno l’aveva resa energica, i libri della strega colta ed i viaggi col drago coraggiosa. Non fosse stata prigioniera, certo avrebbe avuto stuoli di corteggiatori. E il drago stesso, nonostante la conoscesse da sempre, non riusciva a non guardarla con occhi diversi. Tanto diversi, tanto dolci e tanto strani che, talvolta, la facevano arrossire. Un giorno, mentre entrambi erano affaccendati nei loro mestieri, la strega corse nella stanza dove entrambi si trovavano gridando: “Presto Berto! C’è un cavaliere alle porte della foresta! Chiede di Cassandra! Dice di essere venuto per liberarla e portarla via!” Cassandra ebbe un fremito di gioia e rivolse lo sguardo verso l’amico drago per condividere con lui la sua emozione. Grande fu il suo stupore nello scorgere, negli occhi di lui, una strana espressione, come di tristezza e amarezza. La strega riprese ad urlare: “Berto, non stare lì impalato! Vai a cacciarlo via! SUBITO!!!” Il drago si voltò verso la principessa: aveva appena preso una decisione importante. Le sorrise, le fece un goffo inchino e volò via. Cassandra non capiva: perché la strega non aveva usato la magia per allontanare l’intruso senza mettere a rischio la vita di Berto? Provò a chiederlo alla donna, ma costei le rispose che le sue decisioni non dovevano riguardarla. Intanto Berto volava verso il cavaliere: sapeva che l’unico modo per liberare la principessa era quello di lasciare che l’uomo lo sconfiggesse. Lui avrebbe certamente perso la vita, ma la fanciulla avrebbe finalmente trovato la felicità e, forse, l’amore. Ma non poteva lasciarsi battere troppo facilmente, altrimenti la strega se ne sarebbe accorta e sarebbe intervenuta. Doveva essere furbo e fingere di combattere. Arrivò finalmente ai margini del bosco. Tutto era silenzioso: sembrava che anche gli animali tacessero in attesa dello scontro. Il cavaliere gli si parò di fronte: era vestito di un’armatura splendente ed impugnava una spada affilata e lucente. Sotto l’elmo aveva uno sguardo fiero nei grandi occhi neri incorniciati da riccioli biondi. Per un attimo a Berto ricordò Cassandra. Dopo un breve scambio di sguardi feroci, la battaglia iniziò. I fendenti del cavaliere erano potenti e furiosi e il drago si difendeva debolmente con le grandi zampe. L’uomo avanzava con sicurezza ed ardimento, il drago indietreggiava facendogli credere di essere più forte. L’uno gridava per la rabbia, l’altro ruggiva per il dolore. Ogni soffio infuocato del drago era stranamente troppo alto per colpire il giovane o troppo debole per superare la sicura protezione del suo scudo. Alla fine Berto si arrese e, col cuore colmo di tristezza e paura, allargò le zampe in modo che il cavaliere potesse sferrare il colpo mortale. E così fu: la lama gli trapassò il petto e si conficcò nel cuore. Il drago, con le ultime forze rimaste, spiccò il volo: voleva vedere per l’ultima volta la sua principessa. Planò sulla grande terrazza della sua torre, dalla quale lei aveva seguito con terrore tutto il combattimento, e crollò tra le sue braccia. Le lacrime della fanciulla bagnarono il suo muso, e lui si sentì felice e pronto a morire. In quel mentre giunse sulla terrazza anche il cavaliere che, pensando che il drago fosse tornato per uccidere Cassandra, si avventò su di lui per finirlo. Ma la ragazza fu più veloce e protesse Berto col proprio corpo, ricevendo la spada dritta nel cuore. Fu in quel momento che arrivò la strega che, alla vista della scena, lanciò un terribile urlo di rabbia. E l’urlo fu così forte ed acuto da frantumarla come fosse stata di cristallo. Fu allora che qualcosa di meraviglioso accadde: la fortezza si trasformò magicamente in un magnifico castello, la fitta foresta in un meraviglioso bosco costellato di graziose casette, ed ogni sasso in un uomo, una donna o un bambino. Il drago, lentamente, cambiò aspetto e divenne un bellissimo principe, con gli occhi di un azzurro intenso come il cielo in una mattinata limpida ed i capelli neri come una notte senza stelle e senza luna. Non appena si rese conto di ciò che era accaduto, abbracciò stretta a sé la principessa ormai senza vita. E pianse. In quell’istante, dal nulla, comparve una fata. “Io sono la fata protettrice del regno della principessa. Nulla potei fare quando fu rapita, ma lanciai un incantesimo grazie al quale la fanciulla sarebbe stata libera se un cavaliere, a costo della sua stessa vita, l’avesse liberata. E contro quel prode, nulla avrebbe potuto la magia della strega. Per questo ella non l’ha usata contro il giovane giunto a salvarla. Non piangete, mio bel principe. Nulla è perduto. L’amore che l’uno prova per l’altra ha spezzato l’incantesimo che vi legava alla strega e l’ha distrutta. Ora, finalmente, siete liberi.” A quelle parole, Cassandra miracolosamente aprì gli occhi e tornò alla vita. E tutte le ferite del principe scomparvero. La giovane guardò sorpresa l’uomo che la sosteneva tra le braccia e riconobbe, nei suoi, gli occhi del suo amico drago. Lui le sorrise e le raccontò la sua storia. “Sono il principe Dagoberto, e tutto ciò che vedi intorno a te fa parte del mio regno. Secoli fa la strega venne al mio cospetto chiedendomi di diventare la protettrice del mio regno. Per lei doveva essere una vera fissazione, visto che lo chiese poi anche a tuo padre. Avendo saputo della sua malvagità, la cacciai e lei, per vendetta, scagliò una terribile maledizione. Il regno si trasformò in una selva, le persone in sassi, il castello in un’oscura fortezza. Io stesso fui tramutato in drago e condannato a servirla in eterno, sotto la minaccia di veder scomparire per sempre tutto il mio paese. Vissi con la sola speranza di trovare un modo per distruggere la strega e salvare il mio popolo. Poi giungesti tu, principessa, a portare la gioia nella mia vita. La strega mi obbligò a non narrarti mai la tua vera storia, né la mia, ma a tenerti sempre sotto stretto controllo. Ed io ti vidi crescere, e alla fine mi innamorai di te. E quando questo cavaliere arrivò per trarti in salvo, capii che sebbene nulla potessi ormai fare per liberare i miei sudditi, avevo almeno la possibilità di donare a te la libertà. Andai verso la morte. Ma prima che la vita mi abbandonasse, volli darti l’ultimo saluto. Il resto lo sai. Il tuo coraggioso sacrificio ha rotto l’incantesimo e ti ha salvato la vita. Ora va’ col cavaliere che ti ha liberata. È a lui che spetta l’onore di averti al proprio fianco per la vita.” A quelle parole il giovane, che fino ad allora era rimasto silenzioso ad ascoltare, sorrise.“Principe Dagoberto. Ciò che ha spezzato il sortilegio è il vostro amore. E comunque io non potrei mai sposare Cassandra, perché sono suo fratello. Sono cresciuto con l’idea di liberarla e, non appena l’età e l’esperienza con le armi me l’hanno permesso, ho affrontato la sfida. E sono certo che mia sorella sarà felicissima di concedere a voi la sua mano.” Nel tripudio generale, il terzetto fu accolto nel paese della principessa, dove lei poté finalmente riabbracciare i genitori ed i fratelli. Poi, tutti insieme, tornarono nel regno di Dagoberto, dove si celebrarono le nozze reali e dove la fanciulla ed il principe-drago vissero una vita lunghissima e felice”.

(fiaba di Alessandra Fella)

Ho trovato questa fiaba nel forum di sorella Arwen "Arwen's Blog" mi è piaciuta ed ho deciso di riproporla anche nel Rifugio degli Elfi






Purtroppo non ho trovato una immagine che si adattasse bene alla storia - queste mi piacevano ed ho deciso di aggiungerle

E queste ultime due immagini sono del bravissimo Paolo Barbieri per  òe Cover sella saga "La Ragazza Drago"




giovedì 16 febbraio 2012

Fiabe magiche - La Danza degli gnomi di Guido Gozzano



Ecco a voi una bellissima favola di Guido Gozzano "La Danza degli Gnomi"


  Quando l'alba si levava,
  si levava in sulla sera,
  quando il passero parlava
  c'era, allora, c'era... c'era...

















... una vedova maritata ad un vedovo. E il vedovo aveva una figlia della sua prima moglie e la vedova aveva una figlia del suo primo marito. La figlia del vedovo si chiamava Serena, la figlia della vedova si chiamava Gordiana. la matrigna odiava Serena ch'era bella e buona e concedeva ogni cosa a Gordiana, brutta e perversa.
  La famiglia abitava un castello principesco, a tre miglia dal villaggio, e la strada attraversava un crocevia, tra i faggi millenari di un bosco; nelle notti di plenilunio i piccoli gnomi vi danzavano in tondo e facevano beffe terribili ai viaggiatori notturni.
  La matrigna che sapeva questo, una domenica sera, dopo cena, disse alla figlia:
  - Serena, ho dimenticato il mio libro di preghiere nella chiesa del villaggio: vammelo a cercare.
  - Mamma, perdonate... è notte.
  - C'è la luna più chiara del sole!
  - Mamma, ho paura! Andrò domattina all'alba...
  - Ti ripeto d'andare! - replicò la matrigna.
  - Mamma, lasciate venire Gordiana con me...
  - Gordiana resta qui a tenermi compagnia. E tu va'!
  Serena tacque rassegnata e si pose in cammino. Giunse nel bosco e rallentò il passo, premendosi lo scapolare sul petto, con le due mani.
  Ed ecco apparire fra gli alberi il crocevia spazioso, illuminato dalla luna piena.
  E gli gnomi danzavano in mezzo alla strada.
  Serena li osservò fra i tronchi, trattenendo il respiro. Erano gobbi e sciancati come vecchietti, piccoli come fanciulli, avevano barbe lunghe e rossigne, giubbini buffi, rossi e verdi, e cappucci fantastici. Danzavano in tondo, con una cantilena stridula accompagnata dal grido degli uccelli notturni. Serena allibiva al pensiero di passare fra loro; eppure non c'era altra via e non poteva ritornare indietro senza il libro della matrigna. Fece violenza al tremito che la scuoteva, e s'avanzò con passo tranquillo.
  Appena la videro, gli gnomi verdi si separarono da quelli rossi e fecero ala ai lati della strada, come per darle il passo. E quando la bimba si trovò fra loro la chiusero in cerchio, danzando. E uno gnomo le porse un fungo e una felce.
  - Bella bimba, danza con noi!
  - Volentieri, se questo può farvi piacere...
  E Serena danzò al chiaro della luna, con tanta grazia soave che gli gnomi si fermarono in cerchio, estatici ad ammirarla.
  - Oh! Che bella graziosa bambina! - disse uno gnomo.
  Un secondo disse: - Ch'ella divenga della metà più bella e più graziosa ancora.
  Disse un terzo:
  - Oh! Che bimba soave e buona!
  Un quarto disse: - Ch'ella divenga della metà più ancora bella e soave!
  Disse un quinto: - E che una perla le cada dall'orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca.
  Un sesto disse: - E che si converta in oro ogni cosa ch'ella vorrà.
  - Così sia! Così sia! Così sia!... - gridarono tutti con voce lieta e crepitante.
  Ripresero la danza vertiginosa, tenendosi per mano, poi spezzarono il cerchio e disparvero. Serena proseguì il cammino, giunse al villaggio e fece alzare il sacrestano perché la chiesa era chiusa.
  Ed ecco che ad ogni parola una perla le usciva dall'orecchio sinistro, le rimbalzava sulla spalla e cadeva per terra. Il sagrestano si mise a raccoglierle nella palma della mano. Serena ebbe il libro e ritornò al castello paterno. La matrigna la guardò stupita. Serena splendeva di una bellezza mai veduta:
  - Non t'è occorso nessun guaio, per via?
  - Nessuno, mamma.
  - E raccontò esattamente ogni cosa. E ad ogni parola una perla le cadeva dall'orecchio sinistro.
  La matrigna si rodeva d'invidia.
  - E il mio libro di preghiere?
  - Eccolo, mamma.
  La logora rilegatura di cuoio e di rame s'era convertita in oro tempestato di brillanti.
  La matrigna trasecolava.
  Poi decise di tentare la stessa sorte per la figlia Gordiana. La domenica dopo, alla stessa ora, disse alla figlia di recarsi a prendere il libro nella chiesa del villaggio.
  - Così sola? Di notte? Mamma, siete pazza?
  E Gordiana scrollò le spalle.
  - Devi ubbidire, cara, e sarò un gran bene per te, te lo prometto.
  - Andateci voi!
  Gordiana, non avvezza ad ubbidire, smaniò furibonda e la madre fu costretta a cacciarla con le busse, per deciderla a partire.
  Quando giunse al crocevia, inargentato dalla luna, i piccoli gnomi che danzavano in tondo si divisero in due schiere ai lati della strada, poi la chiusero in cerchio; e uno si avanzò porgendole il fungo e la felce e invitandola garbatamente a danzare.
  - Io danzo con principi e con baroni: non danzo con brutti rospi come voi.
  E gettò la felce e il fungo e tentò di aprire la catena dei piccoli ballerini con pugni e con calci.
  - Che bimba brutta e deforme! - disse uno gnomo.
  Un secondo disse: - Ch'ella diventi della metà più ancora cattiva e villana.
  - E che sia gobba!
  - E che sia zoppa!
  - E che uno scorpione le esca dall'orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca.
  - E che si copra di bava ogni cosa ch'ella toccherà.
  - Così sia! Così sia! Così sia!... - gridarono tutti con voce irosa e crepitante.
  Ripresero la danza prendendosi per mano, poi spezzarono la catena e disparvero.
  Gordiana scrollò le spalle, giunse alla chiesa, prese il libro e ritornò al castello.
  Quando la madre la vide dié un urlo:
  - Gordiana, figlia mia! Chi t'ha conciata così?
  - Voi, madre snaturata, che mi esponete alla mala ventura.
  E ad ogni parola, uno scorpione dalla coda forcuta le scendeva lungo la persona.
  Trasse il libro di tasca e lo diede alla madre; ma questa lo lasciò cadere con un grido d'orrore.
  - Che schifezza! È tutto lordo di bava!
  La madre era disperata di quella figlia zoppa e gobba, più brutta e più perversa di prima. E la condusse nelle sue stanze, affidandola alle cure di medici che s'adoprarono inutilmente per risanarla.
  Si era intanto sparsa pel mondo la fama della bellezza sfolgorante e della bontà di serena, e da tutte le parti giungevano richieste di principi e di baroni; ma la matrigna perversa si opponeva ad ogni partito.
  Il Re di Persegonia non si fidò degli ambasciatori, e volle recarsi in persona al castello della bellezza famosa. Fu così rapito dal fascino soave di Serena che fece all'istante richiesta della sua mano.
  La matrigna soffocava dalla bile; ma si mostrò ossequiosa al re e lieta di quella fortuna. E già macchinava in mente di sostituire a Serena la figlia Gordiana.
  Furono fissate le nozze per la settimana seguente. Il giorno dopo il Re mandò alla fidanzata orecchini, smaniglie, monili di valore inestimabile.
  Giunse il corteo reale per prendere la fidanzata. La matrigna coprì dei gioielli la figlia Gordiana e rinchiuse Serena in un cofano di cedro.
  Il Re scese dalla carrozza dorata e aprì lo sportello per farvi salire la fidanzata. Gordiana aveva il volto coperto d'un velo fitto e restava muta alle dolci parole dello sposo.
  - Signora mia suocera, perché la sposa non mi risponde?
  - È timida, Maestà.
  - Eppure l'altro giorno fu così garbata con me...
  - La solennità di questo giorno la rende muta...
  Il Re guardava con affetto la sposa.
  - Serena, scopritevi il volto, ch'io vi veda un solo istante!
  - Non è possibile, Maestà - interruppe la matrigna - il fresco della carrozza la sciuperebbe! Dopo le nozze si scoprirà.
  il Re cominciava ad inquietarsi.
  Proseguirono verso la chiesa e già la madre si rallegrava di veder giungere a compimento la sua frode perversa.
  Ma passando vicino ad un ruscello, Gordiana, smemorata ed impaziente, si protese dicendo:
  - Mamma, ho sete!
  Non aveva detto tre parole che tre scorpioni neri scesero correndo sulla veste di seta candida.
  Il Re e il suocero balzarono in piedi, inorriditi, e strapparono il velo alla sposa. Apparve il volto orribile e feroce di Gordiana.
  - Maestà, queste due perfide volevano ingannarci.
  Il suocero e il Re fecero arrestare il corteo a mezza strada. Il Re salì a cavallo e volle ritornare, solo, di gran galoppo, al castello della fidanzata.
  Salì le scale e prese ad aggirarsi per le sale chiamando ad alta voce.
  - Serena! Serena! Dove siete?
  - Qui, Maestà!
  - Dove?
  - Nel cofano di cedro!
  Il Re forzò il cofano con la punta della spada e sollevò il coperchio. Serena balzò in piedi, pallida e bella. Il re la sollevò fra le braccia, la pose sul suo cavallo e ritornò dove il corteo l'aspettava. Serena prese posto nella berlina reale, tra il padre e il fidanzato.
  Furono celebrate le nozze regali.
  Della matrigna e della figlia perversa, fuggite attraverso i boschi, non si ebbe più alcuna novella.

sabato 15 ottobre 2011

Fiaba Islandese sull'origine degli Elfi

Eccomi a raccontarVi una bella fiaba di origine Islandese - trovata in internet - che spiegherebbe così l'origine degli Elfi ...................


Un giorno il buon Dio, travestito da viandante, bussò alla porta di una piccola casa e chiese ospitalità. Venne accolto e gli venne offerto persino il letto, l'unico che possedevano. Si trattava di una famiglia numerosa e i genitori erano così poveri che non avevano di che vestire i figli. Padre e madre si vergognavano di ciò e presentarono allo straniero solo la metà dei loro figli. Dio li trovò amabili e chiese alla madre se ne avesse altri oltre a quelli. La donna rispose di no. Naturalmente il buon Dio sapeva benissimo che aveva altri figli e domandò ancora: "Mia buona donna, mi hai davvero presentato tutti i vostri figli?". "Certamente - mentì la donna sorridendo -Non sono forse abbastanza?". Dio si accontentò di questa risposta e si sedette a tavola per la cena con i genitori e la metà dei loro figli. Notò che quella famiglia era molto pia e ringraziava il Signore per il cibo e, nonostante fosse appena sufficiente per loro, lo condivisero con lo straniero. Dio notò con approvazione che tutti i bambini si misero in tasca un po' di pane secco da portare ai loro fratelli e sorelle nascosti. Il giorno seguente prima di andarsene, Dio disse alla famiglia tanto ospitale: "Ciò che è stato nascosto a me verrà nascosto anche agli occhi degli estranei". Da quel momento, i bambini nudi diventarono invisibili; i genitori li percepivano e gli altri uomini potevano vederli soltanto quando lo desideravano i bimbi stessi. Dio diede ai bambini dei fiori, con i quali poterono vestirsi, e da allora non patirono più il freddo. Essendo invisibili, dovevano fare attenzione a non essere calpestati, e, per questo, Dio diede loro le ali, affinché potessero spiccare il volo in fretta al minimo pericolo. Quei bambini gli erano molto affezionati e Dio fece loro molti altri doni, che gli uomini comuni non possedevano. Potevano parlare con i fiori e gli animali e trovavano sempre cibo per saziarsi e vivere in buona salute. I bambini invisibili crebbero ed ebbero dei figli, che a loro volta ebbero altri figli. Facevano del bene agli uomini senza farsi vedere, anche se talvolta si divertivano a far loro qualche scherzo. Vivevano nelle grotte, negli alberi, in riva ai fiumi, i più piccoli riuscivano persino ad abitare sulle corolle dei fiori. Gli uomini visibili li battezzarono Elfi. Mentre gli uomini sfruttavano la terra, gli Elfi diventarono gli spiriti della natura e talvolta intervenivano per contrastare le azioni degli uomini irrispettosi verso la natura. Gli elfi si manifestano di rado: non hanno molto spazio sulla terra per eseguire le loro danze e per celebrare i loro riti. Sono sempre in grado di vedere gli uomini; per contro, noi possiamo vedere gli elfi soltanto quando loro stessi lo desiderano. Se un giorno tu dovessi incontrare un elfo, comportati gentilmente con lui e mi raccomando: ricordati di non contrariarlo. Potrebbe anche farti qualche scherzo... 

Fiaba di origine islandese