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martedì 27 settembre 2011

FantaBestiario. Le creature dell'immaginario fantastico - L'Unicorno

Dal Blog True Fantasy http://truefantasyitaly.blogspot.com/   ho ripresto punto per punto questo post su uno degli animali fantastici più interessanti - il mitico Unicorno

Troppo bello per essere ignorato !

FantaBestiario. Le creature dell'immaginario fantastico: L’Unicorno

uni3 Uno degli animali più sfuggenti e affascinanti della storia della letteratura fantastica e fiabesca è l’unicorno. Animale dai molti nomi: liocorno, alicorno, monocero o unicorno, comunque vogliate chiamarlo, esso rimanda a una precisa rappresentazione che ha origine nell’antichità, ma si rende più definita con i Bestiari fantastici medievali.
L’unicorno, al pari del suo nome, ha un carattere nebuloso e indefinito, fatto di ambiguità, mistero e poesia. Per parlare di lui, occorre affondare nei meandri di un intricato groviglio di fraintendimenti, miti, credenze e realtà. La prima fonte sugli unicorni è Ctesia di Cnido, storico greco e medico vissuto, sembrerebbe, nel V sec. a. C. alla corte persiana. Egli racconta di un animale selvatico collocabile in India, un asino in apparenza, bianco nel corpo e rapidissimo, con la testa scarlatta, gli occhi blu, e un grande corno appuntito sulla fronte, di tre colori: bianco alla base, nero nel mezzo, e rosso in punta. Plinio il Vecchio, che certo conosceva l’opera di Ctesia, nel suo monumentale trattato enciclopedico, “La Storia Naturale” (libro VII, cap. 31) parla di “buoi dallo zoccolo compatto” che al suo tempo vivevano in India, e che, sempre a suo dire, erano “provvisti di un unico corno”. In latino il termine è proprio unicornis. A queste informazioni Plinio aggiunge:
“Ma la bestia più selvaggia dell’India è il monocero, nel corpo simile al cavallo, nella testa al cervo, nelle zampe all’elefante, nella coda al cinghiale, dal grave muggito, con un solo corno nero nel mezzo della fronte,lungo due cubiti. Dicono che questa fiera non si lasci prendere viva.”
Unicorno della forestaVediamo di capire a che cosa sta facendo riferimento Plinio. Chiama monoceros l’animale che descrive, ma molti traduttori, per rendere più chiaro di che cosa stia parlando l’autore latino, riportano “monocero o unicorno”. In effetti il termine non è altro che l’unione di monos (uno solo) e keras (corno); insomma, si tratta semplicemente del corrispettivo greco del latino uni-cornis. “L’animale dall’unico corno”, dunque. Eppure, se facciamo attenzione alla descrizione di Plinio, non si tratta effettivamente di quello che poi nell’immaginario medievale verrà cristallizzato nella forma dell’unicorno. Questo monocero è una creatura feroce, selvaggia, con il corpo simile a un cavallo, sì, ma la testa come quella di un cervo e i piedi come quelli di un pachiderma. L’unico elemento - fondamentale, s’intende! - che sembra ricondurre all’unicorno è questo unico corno d’un “nero lucente” (tale il significato proprio di niger, diverso da ater, che indica il “nero opaco”), un corno lungo addirittura due cubiti, cioè poco meno di un 50 cm.
Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che Plinio stesse parlando del rinoceronte, ma il nostro autore, nella sua opera, dimostra di conoscere bene anche questo animale e di distinguerlo perfettamente da quello che lui chiama monocero, pertanto questa tesi va accantonata.
È nel medioevo e con il proliferare dell’interesse per la natura, l’alchimia e i loro simboli, che l’unicorno assume l’aspetto e i caratteri che tanta fortuna avranno fino ai nostri giorni. Viene raffigurato come un cavallino leggiadro e bianco, piccolo, a indicare l’umiltà, altre volte, invece, più grosso di un cavallo comune, a simboleggiare la potenza. Suo tratto specifico è certamente il lungo corno affusolato sulla fronte, in alcuni casi attorcigliato e per questo chiamato alicorno. Diversi autori o artisti aggiungono a questi tratti di base una barbetta caprina e perfino un paio d’ali candide.
fantasy_unicorn L’unicorno diventa un simbolo carico di significati anche magici. Collegato ai poteri alchemici, veniva associato al mercurio e sembrava rappresentare i tre stadi della trasformazione alchemica con quel suo corno tricolore (bianco, nero e rosso). Ma di lui si parla anche per le sue proprietà guaritrici. Ctesia ed Eliano (autore di una Storia degli animali) sono i primi a soffermarsi sui poteri taumaturgici del suo corno, cui veniva attribuita la capacità di guarire dall’epilessia e di contrastare e vanificare l’effetto dei veleni. Pertanto, nell’età di mezzo si diffuse l’usanza di intingere un pezzo del corno di uno di questi prodigiosi animali nelle anfore prima di berne il contenuto, o usare gli interi corni come coppe. In realtà, come è evidente, i corni che venivano adoperati per simili pratiche non erano quelli di liocorno, bensì denti di narvalo o corni di orice, una specie di antilope; altre volte si trattava soltanto di una composizione artificiale di ossa di diversi animali. Tuttavia al rituale sembra partecipassero anche personaggi eminenti, come Papa Bonifacio VIII, che nei tesori papali poteva menzionare quattro corni di unicorno, in tutta probabilità dei falsi, ma ritenuti portentosi per prevenire tentativi di avvelenamento. Ciò dimostra la grande fortuna simbolica di queste credenze, diffuse in modo capillare nella società del tempo.
L’unicorno incarnava le fattezze della purezza, fragile ma invincibile, della nobiltà e della penetrazione del divino nel mondo umano e naturale, e finì così per diventare animale simbolo del Cristo nelle rilettura cristiana.
Di contro, in età cortese viene identificato anche con la sensualità. Comincia infatti a farsi strada la leggenda ch’esso possa essere catturato solo da una vergine, alla quale si avvicina docilmente, accucciandosi sul suo grembo. Alla sua incorruttibile purezza, dunque, fa contro la debolezza verso il fascino della giovane dama illibata, che lo rende protagonista di numerose raffigurazioni: fra tutte si ricordino gli arazzi fiamminghi del ciclo della Dama e l’unicorno, oggi custoditi presso l’ Hôtel de Cluny a Parigi.
la vergine e l'unicorno In Cina l’unicorno è uno dei quattro animali di buon augurio ed è chiamato k’i-lin. Esso, capace di vivere fino a mille anni, rappresenta la regalità e la virtù sovrana, infatti la sua manifestazione è presagio della venuta di un re valoroso e giusto. La raffigurazione delle sue fattezze è ancora diversa da quelle precedenti. Infatti, il k’i-lin è un animale variopinto sul dorso, bruno o fulvo sul ventre, col corpo di cervo, coda di bue e testa di cavallo. Unico elemento immutabile, il lungo corno che spicca sulla fronte, composto tuttavia di carne e non d’osso. Si racconta che la madre di Confucio ne sognò un esemplare prima di dare alla luce l’illustre figlio e che i cavalieri di Gengis Khan ne incontrarono uno che parlò loro per fermarne l’avanzata, quasi fosse un messaggero celeste.
In seguito l’unicorno non ha perso il suo fascino mitopoeitico e favoloso, divenendo animale fantastico al centro di molte storie e romanzi di grande successo, a partire dalle antiche storie delle Mille e una notte, dove appare sottoforma di karkadann, un animale fiabesco, a metà tra unicorno e rinoceronte, protagonista di alcune avventure del marinaio Sindbad.
Da L’ultimo unicorno di Peter S. Beagle - dove l’animale è una femmina in cerca di scoprire quale sorte è toccata agli altri della sua specie - fino a L’unicorno nero di Terry Brooks, o all’animale dal sangue salvifico della Rowling, il liocorno si impone come creatura del fantastico e dell’ignoto, del sogno e della purezza, pronto a riscrivere i suoi poteri e la sua rappresentazione per diventare protagonista di nuove, enigmatiche storie.
 
 unicorn Lavinia Scolari

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